Sei qui: Scaffale News Luoghi di Lavoro Il sovraccarico biomeccanico della colonna vertebrale nel settore edile: schede di rischio per mansione, per settore produttivo e per singoli compiti lavorativi.
Le patologie muscoloscheletriche sono da diversi anni all’attenzione del mondo scientifico, in quanto responsabili di assenteismo, disabilità fisica, malattie professionali (MP). Rispetto a queste ultime, l’INAIL nel 2011, ha evidenziato come le malattie osteoarticolari e muscolo tendinee siano state responsabili di oltre 30.000 denunce di MP (pari al 65 % di tutte le denunce di MP) con un incremento del 165,7 % rispetto al 2007 (4). In particolare, nel settore edile, le patologie del rachide lombo-sacrale interessano oltre il 46 % dei lavoratori europei (6, 7, 8).
A fronte di questi dati sull’importanza del problema, il settore edile si caratterizza per la notevole dispersione della forza lavoro in imprese di piccole e piccolissime dimensioni e per una notevole variabilità delle modalità di lavorazione e, di conseguenza, delle modalità di esposizione ai diversi rischi professionali, circostanze che rendono particolarmente difficile sia la valutazione del rischio che la stima delle conseguenze dell’esposizione ai diversi rischi professionali. Infatti, per quanto si possa descrivere qualunque cantiere come una successione ordinata di fasi lavorative note, dalla recinsione del cantiere, ai tracciamenti per gli scavi fino alla sistemazione finale degli esterni ed eventualmente degli spazi verdi (il riferimento è evidentemente ad una nuova costruzione), tutto ciò non è sufficiente a definire un ciclo produttivo che faccia da base per la valutazione dei rischi, perché in ogni cantiere sono diversi i singoli parametri che concorrono alla valutazione: per il caso specifico del sovraccarico della colonna vertebrale, sarebbe necessario standardizzare entità dei pesi, modalità di movimentazione, tipologia di percorso, durata dell’attività, ecc..
Da qui la difficoltà di valutare i rischi (e non solo quelli ergonomici) in maniera oggettiva e la conseguenza che, nella maggior parte dei casi, la valutazione dei rischi in edilizia si limita alla classica stima dei due parametri “probabilità dell’evento” e “magnitudo dell’evento” (con qualche dubbio di legittimità per quei rischi professionali per cui il D.lgs. 81/08 individua una specifica norma tecnica di riferimento). Queste difficoltà sono state ben evidenziate in un’indagine condotta fra le imprese edili lucane nel 2009 (13) i cui risultati possono essere riassunti in poche considerazioni:
- lo strumento di valutazione largamente prevalente in edilizia (in oltre il 50 % dei casi) è l’autocertificazione (consistente in una semplice “dichiarazione” di aver proceduto all’analisi, senza alcun riferimento ai criteri ed agli strumenti utilizzati);
- nei casi in cui è stato redatto un formale Documento di Valutazione dei rischi, la stima del rischio Movimentazione Manuale dei Carichi è stata effettuata nella stragrande maggioranza dei casi (oltre il 75 %) con una metodica diversa dalla norma tecnica citata nel D.lgs 81/08, valutando i parametri “probabilità dell’evento” e “gravità delle conseguenze”; inoltre, in nessun caso la stima dei due parametri è stata effettuata sulla base di elementi oggettivi (riferimento a banche dati loco-regionali o ai dati biostatistici forniti dal Medico Competente con la relazione sanitaria);
- i Documenti di Valutazione dei rischi che in qualche modo fanno riferimento al metodo NIOSH (e quindi alla norma tecnica UNI ISO 11228), si limitano quasi sempre alla stima di uno o più “compiti semplici”, senza l’integrazione dei singoli compiti in un unico Indice di Sollevamento Complesso, con una evidente sottostima del rischio.
- nel complesso si ricava la sensazione che la valutazione dei rischi (e probabilmente non solo del rischio MMC) sia finalizzata più ad un adempimento formale che ad un reale percorso di gestione del rischio stesso.